Recensione Il salario della paura

Il Festival del Cinema di Venezia ripropone uno dei film più sottovalutati di William Friedkin

Recensione Il salario della paura
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Porvenir, un remoto villaggio del Sud America, è il luogo ideale per chi deve fuggire dal proprio passato. Qui sono giunti, con un passaporto falso, quattro uomini costretti a scappare dal loro paese natio per diversi motivi. Victor Manzon (ora Serrano) ha dovuto abbandonare Parigi per un'accusa di frode, lasciando la moglie nella capitale francese; Nilo è un killer di origini ebree che si vendica dei gerarchi nazisti; Kassem (ora Martinez) è un terrorista arabo in fuga dopo aver compiuto un attentato in patria; Jackie Scanlon (ora Dominguez) era l'autista di una banda criminale che nell'ultimo colpo, andato a male, ferì gravemente il fratello di un boss della mafia, ora sulle sue tracce. Ora la loro vita è fatta soltanto di duro lavoro in un luogo impervio e dimenticato da Dio. L'occasione per il loro riscatto è quando i quattro uomini vengono scelti per una pericolosa missione che potrebbe fruttargli un mucchio di denaro: trasportare su due camion un grosso quantitativo di nitroglicerina, attraverso le rudimentali strade della giungla tropicale...

Sorcerer

Un Festival di Venezia indimenticabile per William Friedkin, regista autore di veri e propri cult nel suo passato: da L'esorcista a Vivere e morire a Los Angeles, fino all'ultimo e riuscito Killer Joe, una filmografia di tutto rispetto per la quale proprio al Lido ha ricevuto nei giorni scorsi il Leone d'oro alla carriera. Come ha detto lo stesso Barbera, direttore della Mostra del Cinema "ha contribuito, in maniera rilevante e non sempre riconosciuta nella sua carica rivoluzionaria, ad un profondo rinnovamento del cinema americano, genericamente registrato dalle cronache dell'epoca come la Nuova Hollywood." Il pubblico in sala ha così anche avuto l'occasione di riscoprire uno dei film più bistrattati di Friedkin, Il salario della paura, uscito nel 1977 e un vero fallimento al botteghino: costato 22 milioni di dollari, ne incassò solamente 6.

Dannati ed eroi

Remake del classico Vite vendute, firmato nel 1953 da Henri-Georges Clouzot, Il salario della paura è tratto dal romanzo di Georges Arnaud, già fonte per l'originale francese. Va detto subito che ai tempi sia la critica che il botteghino furono eccessivamente acidi con l'opera che, pur non raggiungendo gli apici toccati altre volte dall'autore statunitense, riesce a coinvolgere per quasi due ore offrendoci anche un'intelligente costruzione della suspence, che raggiunge il massimo in certe sequenze emotivamente intense. Lontano dai classici spettacoloni hollywoodiani, il film vive di un'atmosfera di continua attesa, quasi crepuscolare, in un mondo ai confini della civiltà, nel quale quattro uomini si trovano a lottare prima con le proprie paure e in seguito con la forza devastante della natura selvaggia, novelli pellegrini in una reltà a loro sconosciuta. Un gioco di silenzi (dialoghi ridotti al minimo) che permette di offrire diversi spunti di caratterizzazione dei quattro protagonisti, impegnati in una missione quasi al di là dei limit umani, girata con un forte senso umanistico. Alcune scene, su tutte l'attraversamento di un minuscolo ponte su un fiume nel bel mezzo di una tempesta, è amplificata all'ennesima potenza dal pericolo pressante che aleggia sui personaggi, sempre nel costante timore che anche il più piccolo sussulto del camion possa far esplodere le casse di nitroglicerina ivi contenute. E anche quando nei minuti finali sembra di giungere ad un semi lieto-fine, l'epilogo incrocia di nuovo la crudeltà di una sceneggiatura diabolica e avvincente. Convincente il cast, in primis il recentemente scomparso Roy Schneider (Lo squalo, Il braccio violento della legge) scelto dopo il rifiuto di Steve McQueen, Jack Nicholson e Clint Eastwood, accompagnato da altri tre attori di razza come Francisco Rabar, Amidou e Bruno Cremer, per una pellicola che merita indubbiamente una riscoperta.

Il salario della paura Il Festival di Venezia celebra William Friedkin con il Leone d'oro e la riproposizione di uno dei suoi film più sfortunati e sottovalutati, Il salario della paura. Remake del capolavoro Vite vendute, l'opera non raggiunge i livelli dell'originale ma è comunque un intenso viaggio nell'animo dei quattro protagonisti, in fuga dal proprio passato, e nella forza brutale della natura selvaggia. Missione resa più ardua dal trasporto di nitroglicerina, che pesa come una spada di Damocle sulle teste dei personaggi, e che riesce a mantenere una tensione costante sino all'amaro epilogo.

7.5

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