Recensione World's Greatest Dad

Recensione della pellicola interpretata da Robin Williams

Recensione World's Greatest Dad
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Ricordate Bob Goldthwait, il folle Zed del secondo, terzo e quarto Scuola di polizia? Impegnato dal 1991 anche dietro la macchina da presa, soprattutto in televisione, scrive e dirige questo World's greatest dad che, presentato con successo presso il Sundance Film Festival, rientra tra le produzioni indipendenti cui ha preso parte negli ultimi anni la star della commedia a stelle e strisce Robin Williams.
Il protagonista di Good morning, Vietnam (1987) e Mrs Doubtfire-Mammo per sempre (1993), infatti, alle prese già nel corso dei primissimi minuti di visione con una situazione alla American pie (1999) insieme al figlio Kyle, ossessionato dal sesso e interpretato dal Daryl Sabara della serie Spy kids, veste i panni di Lance Clayton, insegnate di poesia di scuola superiore ansioso di diventare uno scrittore di fama. In seguito all'accidentale morte del ragazzo, avvenuta mentre praticava un pericoloso gioco autoerotico, per proteggere la sua famiglia dall'imbarazzo e dalla vergogna fa passare l'accaduto per suicidio  inventando prima una lettera d'addio che, pubblicata senza permesso, finisce per riscuotere grande successo, poi un diario, spacciandolo per scritto da Kyle.

Figlio mio... infinitamente caro

Da qui, Goldthwait - che fa anche una breve apparizione nel ruolo di un autista - costruisce un fortemente amaro ma sempre ironico racconto per immagini volto a sguazzare di continuo in mezzo alla verità e alla falsità sfoggiate dai comuni mortali, tra il protagonista che prosegue a camuffare le reali circostanze del decesso del figlio e i compagni di scuola che rimpiangono Kyle, con il quale portavano avanti rapporti tutt'altro che buoni quando era in vita.
E, senza annoiare mai lo spettatore, lo fa attraverso una bella sceneggiatura impreziosita da ottimi dialoghi, alcuni dei quali ricchi di citazioni cinefile, dai musical di Bob Fosse a Frankenstein jr (1974) di Mel Brooks, soffermandosi soprattutto sugli zombie-movie e tirando verbalmente in ballo perfino Simon Pegg, protagonista de L'alba dei morti dementi (2004) di Edgar Wright.
Perché, curiosamente, sono proprio gli zombi a rappresentare una delle più grandi passioni di Jack (ci si chiede per quale motivo, lui che è americano, abbia una locandina italiana de La notte dei morti viventi appesa sulle pareti di casa), incarnato in maniera superba da Williams all'interno di quello che, in un periodo storico popolato di pellicole destinate a raccontare sempre le stesse storie e a fare da remake di classici e cult, presenta non solo le fattezze di un prodotto originale, ma addirittura geniale.
Un prodotto che, forte anche di una ben sfruttata colonna sonora spaziante da Under pressure dei Queen e David Bowie a diversi hit di Bruce Hornsby, si rivela in particolar modo dispensatore di un messaggio incredibilmente vero: nella vita la cosa peggiore non risiede nell'essere solo, ma nel capitare con persone che ti fanno sentire solo.

Il papà migliore del mondo Richard Kelly, regista del cult-movie Donnie Darko (2001), figura da i produttori di questo lungometraggio che, diretto dal Bob Goldthwait ricordato in particolar modo per aver interpretato l’urlante Zed in diversi capitoli della serie demenziale Scuola di polizia, è stato presentato con successo presso il Sundance Film Festival. In quella che rientra di sicuro tra le sue migliori performance, Robin Williams incarna l’addolorata figura di un padre impegnato a nascondere le reali e imbarazzanti circostanze dell’inaspettata morte del figlio, finendo per renderlo popolarissimo, al contrario di ciò che era da vivo. In continuo bilico tra amarezza ed ironia, per circa 99 coinvolgenti ed emozionanti minuti di visione che spingono inevitabilmente a farci chiedere come sia possibile che non abbiano ottenuto una candidatura all’Oscar neanche per la splendida sceneggiatura.

8

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