Six Days in Fallujah, parte il boicottaggio: la guerra in Iraq non è un gioco

Six Days in Fallujah, parte il boicottaggio: la guerra in Iraq non è un gioco
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Dopo le nuove accuse di propaganda per Six Days in Fallujah, il controverso progetto FPS torna a far discutere di sé, in seguito all'avvio di una campagna di boicottaggio da parte del CAIR.

Il Council on American-Islamic Relations (Concilio per le Relazioni Americano-Islamiche) - la più grande organizzazione USA per la promozione dei diritti civili degli individui musulmani - ha infatti diffuso un breve ma incisivo comunicato, indirizzato a Microsoft, Sony e Valve. Quest'ultimo promuove lo slogan "la guerra in Iraq non è un gioco" e manifesta le ragioni che spingono il CAIR a chiedere il boicottaggio di Six Days in Fallujah da parte dei colossi videoludici.

"Alle sue fondamenta, il gioco è un simulatore di 'assassinio di Arabi' che glorifica la violenza che è costata la vita di oltre 800 civili iracheni, giustifica l'invasione illegale dell'Iraq e rafforza la narrazione islamofobica. La Seconda Battaglia di Fallujah - si legge nel comunicato - è stata una violenta e sanguinosa battaglia durante la Guerra in Iraq che si è lasciata alle spalle oltre 800 civili morti. Il tragico episodio è stato duramente criticato per le strategie adottate dall'esercito USA, incluso l'utilizzo di fosforo bianco. Ad anni di distanza dalla battaglia, numerosi bambini iracheni nati a Fallujah presentavo malformazioni alla nascita".

Al momento, non sono giunte repliche da Microsoft, Sony e Valve. In attesa di ulteriori aggiornamenti, trovate ulteriori dettagli sulla delicata tematica nello speciale su Six Days in Fallujah redatto dal nostro Marco Mottura.

Six Days in Fallujah