Videogiochi e dipendenza tra i giovani: studio evidenzia il ruolo di famiglia e politica

Videogiochi e dipendenza tra i giovani: studio evidenzia il ruolo di famiglia e politica
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Mentre il settore videoludico si rende protagonista di una grande crescita, con un giro d'affari di oltre 2 miliardi di euro solo in Italia, aumentano gli studi volti a indagare il rapporto tra videogioco ed essere umano.

A destare particolare attenzione, è soprattutto il rischio di sviluppare una dipendenza da videogiochi, un disturbo che richiede interventi di supporto da parte di professionisti esperti. Su questo tema, arriva ora un interessante contributo da parte del mondo della ricerca accademica.

Una ricerca realizzata congiuntamente dall'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc), dal Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università di Padova e dall'australiana Flinders University ha infatti evidenziato una correlazione tra diversi fattori socioeconomici e il rischio di insorgenza di un approccio problematico al gaming negli adolescenti europei. Lo studio ha coinvolto 8.900 ragazzi di età compresa tra i 15 e i 16 anni e ha identificato il disturbo come "un utilizzo eccessivo dei videogame che possa mettere a repentaglio la salute e favorire l’allontanamento dalla scuola e dagli affetti".

Come facilmente immaginabile, un forte equilibrio famigliare ed efficaci politiche sociali hanno dimostrato di avere un effetto positivo nell'arginare la problematica. "La ricerca indica come la presenza di regole genitoriali e di supporto emotivo familiare proteggano in adolescenza da un utilizzo eccessivo e distorto dei videogiochi", evidenzia il Professor Alessio Vieno. A riprova di quanto evidenziato, prosegue lo studio, "Il rischio di gaming problematico è maggiore negli Stati dove sono più marcate le disuguaglianze economiche, mentre risulta minore nei Paesi dove vengono effettuati investimenti nelle politiche di salute pubblica, come i benefici fiscali per le famiglie".

Complessivamente, lo studio evidenzia come ben il 20% dei giovani del Vecchio Continente sia "ad alto rischio", con gli adolescenti che presentano un'incidenza tre volte superiore rispetto alle coetanee, con un 30,8% a fronte di un 9,4%. In questo quadro, il Paese più virtuoso è la Danimarca, che presenta una percentuale pari al 12%. Al capo opposto della classifica troviamo invece la Romania, con addirittura il 30% di rischio. La nostra penisola si colloca in una posizione intermedia, ma comunque sopra la media europea, con un tasso di rischio pari in Italia al 24%.