Anteprima Max Payne 3: il TPS Rockstar provato alla GamesWeek

Alla GamesWeek il nuovo Max Payne si mostra al pubblico

Anteprima Max Payne 3: il TPS Rockstar provato alla GamesWeek
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  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • All'evento milanese dedicato ai videogame, gli ospiti illustri sono stati moltissimi. Il pubblico accorso alla Games Week ha potuto testare con mano i titoli più attesi in arrivo sul mercato, e non sono mancate presentazioni dei grandi blockbuster del 2012. Su tutte, svettava quella di Max Payne 3. In una piccola saletta privata Rockstar ha presentato, ai numerosi hardcore gamer accorsi per l'occasione, la nuova avventura dell'eroe noir più famoso di sempre.
    L'intenzione è ben chiara: far sapere a tutti che in fondo, nascosta dietro il cranio lucido, dietro la canottiera strappata che grida “Die Hard”, dietro le prospettive soleggiate di una metropoli sudamericana, l'anima nera di Max è sempre la stessa. Amara, disillusa e fredda. Come i proiettili.

    Da quanto tempo nevica, Max?

    I giorni passano in fretta. Fin troppo: in men che non si dica si trasformano in mesi, poi in anni. Gli ultimi otto sono volati, per Max, affogati nell'alcool, impastati nella sonnolenza degli antidolorifici. Sono i ricordi, invece, che non passano. Si avvolgono attorno al cuore, e marciscono lentamente, assieme alla voglia di riscatto, assieme all'idea di ricominciare. Tutto si amalgama in un grumo nero: una massa decomposta che ti tiene incollato al pavimento sudicio di un appartamento in periferia.
    Quando il gioco comincia, più che il volto segnato di un protagonista su cui la vecchiaia si è accanita senza pietà, sono le mura di un monolocale newyorkese che ci raccontano la storia di Max. Il divano letto sfatto al centro della stanza, le incrostazioni sul soffitto, i vestiti sporchi sul pavimento. Una storia senza prospettive, senza futuro. Soprattutto se gli scagnozzi di un malavitoso della grande mela sono fuori dalla porta pronti a farti le scarpe. Forse non è stata proprio una buona idea quella di uccidere a sangue freddo il giovane rampollo di una delle più potenti famiglie mafiose di New York.
    L'incipit di Max Payne 3 è un vero e proprio tributo ai primi due episodi della saga. Quelli che restano ancora oggi scolpiti nella memoria di una schiera infinita di giocatori. Non è solo lo spolverino di pelle che ancora pende dalle spalle di Max, o la neve che lentamente cade sui grattacieli della città, quasi ad attutire i suoni e i colori. E' lo spirito nero del protagonista, i suoi gesti, e soprattutto il gameplay e l'interfaccia di gioco, che urlano a squarciagola l'amore ed il profondo rispetto del team di sviluppo per l'iconografica classica di Max Payne. Dopo una breve Cut Scene introduttiva, infatti, Max esce allo scoperto e affronta i sicari in doppio petto con la sua solita irruenza. Con la cruda sfrontatezza di chi non ha più niente da perdere. Certo, ci sono adesso coperture dinamiche alla Gears of War, e la possibilità di sparare alla cieca. E del resto si tratta di un'introduzione inevitabile, in un videogioco moderno. Ma non è la possibilità di ripararsi dai colpi, ad essere principale nell'economia di gioco. Come un tempo, infatti, è il Bullet Time che pretende di prepotenza la priorità al centro della scena ludica. Come un tempo, Max può tuffarsi e rallentare il tempo, dilatarlo, per concentrarsi e prendere la mira. Colpi alla testa, proiettili che nuotano nell'aria densa e oleosa, capriole all'ultimo secondo per evitare che i colpi vadano a segno: il vecchio Max c'è, ed è ancora tutto intero. Lo dimostra anche l'interfaccia di gioco, la solita di sempre: con una silhouette grigia che progressivamente si tinge di rosso, ad indicare la quantità di danni accumulata. E per tornare in salute, è inutile aspettare: si può solo ingurgitare una scatola di antidolorifici. Le ferite, anche quelle nell'orgoglio, rimangono. Si può solo stordire il bruciore.

    Shiny Happy People

    Inutile però girarci intorno: Rockstar nutrirà pure un profondo rispetto per la storia di Max Payne, ma quello che vuole sviluppare è un nuovo capitolo, un altro corso. La lunga introduzione giocata a New York è una doccia fredda per i vecchi videogiocatori, un modo per svegliargli e fargli sapere che il team di sviluppo capisce le loro resistenze. E' dunque un sistema per ricordare il passato, ma anche una forbice che taglia il cordone ombelicale che collega la fanbase ad una indimenticata “mitologia”. Dopo New York, infatti, si vola dritti a San Paolo, in Brasile. Non sappiamo esattamente cosa abbia convinto Max, ma alla fine l'insistenza del collega Raul Passos ha dato i suoi frutti. Forse la Grande Mela era diventata troppo poco vivibile, o forse nella pattumiera del suo Ego il nostro protagonista è riuscito a recuperare l'idea di un nuovo inizio. Fatto sta che, rasati i capelli e fatti i bagagli, Max si trasferisce a sud, sulla costa del Brasile.
    Il cambiamento, lo ammettiamo, è spiazzante. Altrimenti, le reazioni ai primi trailer non sarebbero state così accese. Ma quello che ci chiede Rockstar è solo un po' di fiducia: “il Noir non è solo un colore. E' uno stato d'animo, un fascio di sensazioni. Si può raccontare una storia scura anche alla luce del sole”. Sappiamo bene che i rappresentanti di una software house così brillante non parlano a sproposito. Attualmente è difficile giudicare, non avendo troppi riferimenti sugli sviluppi della trama e appena qualche scampolo di sceneggiatura. Vogliamo credere davvero che il team di sviluppo sappia scavare nei recessi oscuri dell'animo dei protagonisti. Sappiamo che il confronto con il tormento lancinante che affliggeva il Max dei primi due capitoli non è facile: Rockstar dovrà mettere in piedi una trama altrettanto viscerale, tornando a stimolare quell'empatia particolare che è propria dei drammi umani, più che dell'azione alla rambo. Max non si meriterebbe un trattamento diverso, e il team di sviluppo ci ha fatto capire di averlo bene a mente.

    A tempo coi Proiettili

    Dal punto di vista del Gameplay, l'abbiamo già accennato, Max Payne 3 non abbandona la tradizione legata al nome che porta. Purtroppo ancora non è tempo per mettere le mani su una build giocabile, ma la lunga sessione di gioco mostrata dal team di sviluppo ha messo bene in chiaro la situazione. Sarà pure un po' anacronistico, ma il Bullet Time è il fulcro del Gameplay. Spettacolare quanto lo era otto anni fa. Il giocatore, consumando l'apposita barra che regola l'utilizzo del “ralenty”, può sfruttare sia un rapido “tuffo” (il tempo rallenta finchè Max non si appoggia a terra), oppure spostarsi più liberamente e far fuoco all'impazzata. Ovviamente, non è possibile fare a meno di uccisioni classiche, scontri “alla pari”, indispensabili proprio per rimpinguare l'indicatore del Bullet Time. Il ritmo di gioco procede a singhiozzi, sacrificando opportunamente la fluidità per la pura esaltazione del piombo. Oggi come allora, del resto, lanciarsi nel vuoto e freddare cinque avversari ancora prima di toccare il pavimento, esalta il giocatore con una soddisfazione inarrivabile.
    L'introduzione di una Kill Cam che sottolinea con perizia cinematografica estrema l'ultima uccisione, inquadrando la scena da prospettive insolite, galvanizza ancora di più, avvicinandosi all'ultimo proiettile finchè questo non si conficca nel cranio del malcapitato. Consapevole comunque che il tempo è passato, e i videogiochi ne hanno fatta di strada, il team di sviluppo si è sforzato di rendere la progressione più vivace possibile, puntando anche sull'interazione ambientale e sul potenziamento delle routine comportamentali dei nemici. Nel corso del Playthrough, ad esempio, abbiamo assistito ad uno scontro a fuoco nei pressi di un rimessaggio autobus. In netta inferiorità numerica, per riequilibrare la situazione è bastato sparare all'impianto idraulico di un sollevatore, per far crollare un bus sopra dei nemici che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Anche nel cortile esterno, qualche proiettile alle pompe di benzina ha prodotto esplosioni di “sicuro impatto”, garantendo, nei limiti di una linearità sempre controllata, la possibilità di variare leggermente approccio.
    In certi altri momenti, poi, l'utilizzo del Bullet Time è sapientemente scriptato, combinato con efficaci giochi di regia che ci riportano con la memoria alle “irruzioni forzate” di Call of Duty. Saltando da un soppalco e appendendosi ad un grosso gancio metallico, quasi stesse scendendo un'improvvisata Zipline, Max ha fatto fuori un folto gruppo di nemici, proprio grazie alla “concentrazione” che si è attivata in maniera automatica. Speriamo di vedere molti intermezzi di questo tipo, magari amalgamati in maniera più dinamica con la progressione. Del resto, non bisogna dimenticare le conquiste di Stranglehold, che fra funamboliche acrobazie agganciati ai lampadari o distesi sui carrelli da cucina, proponeva una varietà di soluzioni sicuramente efficace.
    Un'altra delle dinamiche di gioco inedite si chiama Last Man Standing. Come abbiamo già detto, il recupero della salute non è automatico: il giocatore deve decidere quando consumare le sue pillole. Insomma, basta fare male i conti con la scorta di Painkiller per finire nei guai (una situazione che i videogiocatori moderni non sono troppo abituati a vivere). Nel caso in cui un proiettile troppo irruento dovesse cogliere Max alla sprovvista, idealmente ponendo fine alla sua storia, avremo comunque una possibilità: basterà avere un ultimo antidolorifico a disposizione, perchè si attivi in automatico il Bullet Time. Prima di cadere a terra, dovremo allora uccidere il nostro ipotetico carnefice, e la pillola sarà utilizzata in automatico, concedendoci una seconda Chance.
    Il sistema di gioco, in generale, è sostenuto anche da un certosino lavoro sul fronte della animazioni e della fisica di gioco. L'integrazione dell'euphoria engine ha permesso al team di sviluppo di rendere più credibili i movimenti di Max. Il protagonista adesso corre verso gli avversari, e poi si tuffa dalla parte opposta scaricando il peso sui quadricipiti. In aria, l'utente ha il controllo totale dei movimenti, mentre in automatico Max sposta le braccia per cercare di attutire una caduta che, in ogni modo, aumenterà i suoi lividi. Anche una volta steso a terra, il nostro antieroe potrà continuare a sparare, semmai per finire i nemici rimasti in piedi. Insomma un impianto di gioco classico nelle fondamenta viene impreziosito da un lavoro di sviluppo rispettoso delle conquiste tecniche degli ultimi anni, e desideroso di trovare una nuova dimensione per Max.
    La sequenza giocata terminava in ogni caso con una lunga corsa su un autobus. Guidato dalla moglie di Raul, che Max ha protetto per tutto il tempo dagli assalti dei malavitosi brasiliani, il grosso autoveicolo sbandava e cozzava contro guardrail e pareti, in nuvole di scintille e vetri infranti. Ovviamente, sporgendosi fuori dalla porta, Max aveva il compito di seccare i Narcos prima che i loro proiettili raggiungessero la coppia in fuga. Un altro esempio, insomma, di come Rockstar abbia cercato di reinventare Max Payne, cercando di rendere meno monotona possibile la progressione.

    Max Payne 3 Max Payne 3 si mostra alla Games Week nella stessa versione presentata al pubblico in occasione del Comic Con di San Diego. Sicuro motivo di vanto per la prima fiera italiana dedicata interamente al videogioco, l'intensa presentazione ha mostrato i connotati di un progetto che non vuole recuperare interamente il passato di Max, ma neppure dimenticarlo. Creando una connessione con i primi capitoli, a livello ludico ma non solo, il team è alla ricerca di un modo per mantenere inalterato lo spirito Noir da sempre tratto distintivo della saga, vivacizzando però le situazioni e mutando radicalmente il contesto. La direzione intrapresa è quella giusta, state con noi per tutte le altre novità legate al nuovo titolo Rockstar.

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