Speciale Fallout 3

Prova diretta e qualche novità esclusiva

Speciale Fallout 3
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • War, war never changes. Più che un monito, l'introduzione di Fallout 3 porta in grembo un messaggio pregno di sincera rassegnazione.
    Distruttore e demiurgo: è la natura bipolare dell'essere umano, che guizza imprendibile fra le proprie contraddizioni, a rendere la guerra un'opzione fissa, inamovibile, impossibilitata a cambiare. Un corto circuito mentale che sistematicamente ne stravolge le pulsioni, indirizzandone le mani dalle leve della creatività, ai pulsanti rossi dei missili nucleari. Togliete tutto all'uomo tranne il suo bagno di cenere, l'ebbrezza di coricarsi in un letto di macerie morte, da cui riemergere ancor più risoluto, forte, fiero di essere vivo, col cieco entusiasmo di chi non impara mai e poi mai la lezione. Anno 2277. Due secoli dopo il festival multicolore delle bombe, però, qualcos'altro ha fatto breccia tra gli scheletri di una società così sagace da autodetonarsi. Stipate in cantina le discussioni sulla specie dominante, all'uomo, ora, è concesso solo di arrabattarsi per sopravvivere, costringendosi in un profilo basso, non dissimile allo strisciare d'un verme. Perché i dintorni di Washington D.C. sono sì terra di conquista, ma non per la razza umana o quantomeno non per quella nata e cresciuta tra le comodità dei Vault. Rifugi antinucleari, perlopiù. Posti in opera dall'omonima compagnia in previsione di una catastrofe poi puntualmente verificatasi. Non tragga comunque in inganno la loro facciata umanitaria. Molti di questi mastodontici bunker furono predisposti per stressare fin da subito gli abitanti con svariate problematiche di natura tecnica. Altri, più perfidamente, rilasciavano droghe nell'aria a cadenza periodica, con l'intento di intaccare l'equilibro mentale di chi aveva pagato a caro prezzo un posto tra quelle viscere d'acciaio, per preservarsi dalle follie belliche che si sarebbero consumate all'esterno. Altri ancora mettevano a disposizione dell'intera comunità armi di ogni tipo, innalzando poi il livello di tensione elargendo, per esempio, cibo di qualità scadente. Il Vault 101 -che dà i natali al giocatore- fu progettato semplicemente per chiudersi, e non aprirsi mai più.
    Bethesda, acquisiti i diritti da Interplay, propone la propria visione dell'epopea postatomica di Fallout, senza tuttavia snaturarne i cardini principali, fatti di strategia, azione e libertà decisionale.
    Un inno al valore storico della saga, ma anche una rilettura profonda dei canoni classici degli RPG di matrice occidentale ed un superamento radicale delle routine di Oblivion, benché motore e filosofie soggiacenti siano le stesse.
    Everyeye.it, dopo averne saggiato due cospicue porzioni di gameplay, non può che dirsi basito, sebbene la natura alpha del codice ne abbia in parte costipato la magnificenza tecnica, già da ora, comunque, superiore a quella del seguito di Morrowind.
    Fallout 3 è praticamente pronto, ed a detta degli sviluppatori i mesi che lo separano dalla release saranno spesi solo al raffinamento della cosmesi ed al bilanciamento oculato della difficoltà.
    Il gioco troverà posto sugli scaffali dei negozi il prossimo autunno, in contemporanea ed interamente doppiato in italiano su Playstation 3, Xbox 360 e PC.

    Super Mutants

    Fallout 3 e le scelte. Una relazione che va oltre i livelli di karma raggiungibili (a cui sono legati specifici achievements su Xbox 360), e che coinvolge più parti della meccanica di gioco. Dai combattimenti, ai dialoghi, alle relazioni intessute con gli NPC, tutto viene pesato sulla bilancia delle conseguenze. Sia chiaro, l'ala ideologica del gioco non contempla nessuna divisione di stampo manicheo (buono contro cattivo), preferendole una più realistica suddivisione in scale di grigi. Una moralità viziata anch'essa dal pulviscolo radioattivo e che dunque può viaggiare tanto sui binari dell'opportunismo, o del bene superiore, quanto su quelli dell'efferatezza.
    L'incidenza della libertà decisionale lasciata al giocatore pare davvero incredibile, soprattutto se si considera l'ampiezza di respiro della trama. Una sceneggiatura che necessariamente non si esaurirà alla prima tornata. Venti ore sono necessarie per completare la quest principale, una porzione di tempo che viene raddoppiata se si prendono in considerazione solo alcune delle missioni secondarie. Ma la tensione verso la rigiocabilità è fin troppo evidente. I finali potenziali sono tantissimi proprio perché talune decisioni attivano set differenti di opportunità, mentre comportamenti o dialoghi vanno ponderati attentamente sulla base delle peculiari personalità dei personaggi non giocanti.
    Durante il primo spezzone di gioco visionato troviamo il nostro avatar, transfuga dal Vault 101, già nel centro di Washington D.C. La conformazione planimetrica della città è stata rispettata, e così gli edifici, le piazze, i monumenti più rappresentativi sono lì, piegati dalle esplosioni e dall'incuria del tempo. L'impatto è destabilizzante. L'obelisco si staglia all'orizzonte, ingrigito e decadente, e lo sviluppo verticale degli edifici ricorda al giocatore quanto è piccolo. E soprattutto indifeso. Nonostante sia una build tecnicamente acerba, i particolari si sprecano, riempiendo letteralmente la scena di cruda verosimiglianza.
    Pochi passi dopo, ed è già il delirio. Un gruppo di mutanti ci attacca, fuoriuscendo da un grattacielo traballante. Passiamo in tempo reale dalla terza alla prima persona, e crivelliamo ogni cosa si muova, ma loro sono in due, tre, poi quattro: la fine pare ormai prossima. Decidiamo di scappare, creando un piccolo diversivo: qualche colpo al motore di un pezzo di ferraglia a quattro ruote parcheggiato lì vicino. La deflagrazione è visivamente eccezionale. Gli effetti particellari aggrediscono l'immagine, mentre il fumo volumetrico si confonde con le folate di vento che talvolta spira verso ovest. Poi, una piacevolissima sorpresa: l'entrata in scena dei Brotherhood of Steel. Se la capitale -di cosa, ormai?- non è ancora caduta in mano ai Super Mutants, lo si deve alla loro azione difensiva. Per i cultori della saga, una vecchia conoscenza. Per noi, invece, una sorta di piccola visione. Bastano così pochi istanti perché la schermaglia trovi la degna conclusione. Archiviata la fastidiosa pratica, accettiamo di buon grado di seguire il gruppo. Naturalmente potremmo rifiutare, magari sfoderando qualche battuta sferzante all'indirizzo del capo della squadriglia (una donna), stuzzicando pericolosamente il loro disappunto. O più semplicemente andandocene. Uno dei membri del team di sviluppo ci consiglia comunque di non virare su scelte avventate: il nostro livello è piuttosto basso e difficilmente ne usciremmo indenni.
    Da lì a poco riceviamo il primo messaggio via PipBoy 3000, il nostro computer da braccio. Ci segnala un appuntamento sul tetto di una stazione radio dislocata nei paraggi. Come sempre, sta a noi decidere. L'indispensabilità dell'aggeggio è piuttosto ovvia: contiene tutti dati che riguardano il nostro status, le caratteristiche di base (il buon vecchio S.P.E.C.I.A.L. system: Strength, Perception, Endurance, Charisma, Intelligence, Agility e Luck) ), le skill, le abilità speciali (perks), le condizioni di specifiche parti del nostro corpo, lo stato delle armi, la mappa e gli obiettivi delle missioni. Può essere usato inoltre come radio portatile, scegliendo da una track list rigorosamente anni '50.
    Da un cadavere recuperiamo poi un fucile laser più performante. Ci sarà utile. Poco dopo, le rovine di un palazzo fatiscente fanno da teatro ad un altro conflitto a fuoco. L'IA dei nemici -per quanto il livello di difficoltà della build sia settato appositamente verso il basso- pare già ottima, con mutanti alti più di due metri e propensi in maniera spiccata agli attacchi frontali, che cercano di ripararsi tra gli anfratti che l'ambientazione concede loro (veicoli semidistrutti, muretti e coperture di fortuna) o che addirittura tentano di darsi alla fuga se in evidente difficoltà.
    Come preannunciato, la libertà di scelta non va ad interessare solo dei raffinati escamotage narrativi. Il sistema di combattimento, infatti, miscela con accortezza la frenesia tipica degli FPS (o dei TFS, qualora si scelga la visuale in terza persona) al ragionato tatticismo degli RPG a turni. Il passaggio da una modalità all'altra avviene senza soluzione di continuità ed è a nostra totale discrezione. In termini di punti esperienza maturati, o dei danni procurati, non esistono differenze tra il combattimento in tempo reale ed il VATS (Vault-Tec Assisted Targeting System): tutto, ancora una volta, è riposto nelle nostre strategiche mani.
    E' possibile dunque ingaggiare un nemico ferendolo inizialmente in tempo reale; fermare il tempo appoggiandoci alla modalità VATS per ferirgli una gamba, rallentandolo, o magari il braccio armato, al fine di disarmarlo od intaccarne la precisione; infine finendolo puntando alla testa, ritornando in real time.
    Attivabile premendo RB (su Xbox 360), il sistema a turni trae fondamento dagli action points accumulati. In base al loro quantitativo, è possibile colpire una o più parti specifiche del corpo del nemico, moltiplicando l'effetto su più avversari qualora fossimo dotati del congruo livello di esperienza.
    La suddivisione delle parti sensibili (gambe, braccia, petto, collo e testa) viene evidenziata dal colore verde e da precise percentuali di incidenza. Dette proiezioni numeriche servono per intuire il grado di riuscita delle nostre mosse e sono il frutto della mediazione fra le caratteristiche che ci contraddistinguono (precisione di tiro, tipo di arma, confidenza con la stessa, stato di usura dell'attrezzo, distanza) e le circostanze contestuali come la resistenza del contendente, l'eventuale presenza di armature o di protezioni, la sua collocazione nello spazio di gioco (se le gambe sono coperte da un muretto, le probabilità di attaccarle -con un'arma convenzionale- risultano pari a zero), e la postura che esibisce (difficile confezionare un headshot se la traiettoria che conduce alla testa del marrano è parzialmente occlusa da un braccio). Una volta costruito l'attacco e quindi esauriti gli action points a disposizione, l'esito viene esemplificato da una carrellata di sequenze cinematiche altamente spettacolari, in cui gli effetti delle scelte delle controparti vengono sottolineati dall'immancabile slow motion.
    La consistenza delle variabili in gioco è piuttosto chiara: difficile trovare un sistema di combattimento così ben bilanciato da incorporare due specificità ludiche (se non tre), rendendole fluide e nel contempo tatticamente stratificate. Fallout 3 ci riesce in pieno. Non forzando mai il giocatore verso uno svolgimento predeterminato dello scontro, bensì titillandone la fantasia. Esempio. Scambio di opinioni con tre super mutanti: due si avvicinano piuttosto velocemente, gli oggetti che impugnano sembrano clave; sarebbe bello controllare da vicino, ma quelle facce deformate dalle radiazioni non ci rassicurano poi molto. Il terzo, posizionato su di una scalcinata struttura sopraelevata, ci bersaglia senza pietà. Potremmo togliere il disturbo, dileguandoci. Ma non lo facciamo. Spariamo, in soggettiva ed in tempo reale, alle gambe dei due energumeni, rallentandone il passo. Per il terzo incomodo, attiviamo la modalità VATS. I colpi agl'arti inferiori ed al collo hanno una bassa probabilità di andare a segno con efficacia. Ma il 95% che campeggia vicino a quel cranio abominevole ci rende piuttosto fiduciosi. Spesi a dovere gli AP, ciò che ne consegue è una fiera dello splatter. Una bordata viene prontamente schivata, ma le altre due fanno centro: il super mutant vola all'indietro, mentre il suo cervello esplode -letteralmente- in un mare rosso di frattaglie. Ripiombati in tempo reale, notiamo il lento recupero degli action points usati e l'avanzare incerto del duo di mutanti feriti. Finiamo entrambi con una simpatica granata di cortesia.
    Torniamo alla nostra avventura coi prodi Brotherhood of Steel. Sbaragliato lo sparuto gruppo di nemici (anche grazie ad un level design accorto, che pone i punti di copertura nei punti più opportuni, integrandoli però alla perfezione nel costrutto scenico), ci troviamo nella piazza su cui si affaccia la stazione radio citata poc'anzi. Rumori sinistri dietro un cumulo di rottami. Boati lontani, poi sempre più vicini, fino a divenire fragorosi. Un membro della squadra si decide ad indagare: pessima idea. L'esplosione lo scaraventa in aria come fosse di carta. Eccoti, Super Mutant Behemoth. Micidiale, enorme, devastante. Eppure, a detta di Bethesda, è solo uno dei tanti cuccioloni che infestano quelle lande disperate. Un idrante, nella mano destra. Come scudo per il braccio sinistro, la portiera di un'utilitaria. Una graziosa collana di teschi umani ne abbellisce il petto. Chiaramente è invulnerabile alle armi comuni. Avanza, ed il suolo trema. Indietreggiamo, frastornati, sparando all'impazzata. Poi notiamo un succoso lanciarazzi, vicino ad un corpo martoriato. Fat Man, ovvero un'arma nucleare portatile. Tre colpi in canna. Ci muoviamo svelti, perché basta una sua singola mazzata per spedirci all'altro mondo. Siamo in terza persona. Spariamo, ma lo manchiamo. Ci spostiamo ancora, sebbene sia difficile essere precisi quando si ha un bestione del genere alle calcagna. Fuoco, di nuovo. Questa volta la bomba gli viene recapitata fra i piedi. Non muore: ne risente, però. Optiamo per il VATS: un piccolo confetto radioattivo gli si conficca in testa. Addio Behemoth, e complimenti per l'esplosione.
    Le radiazioni sviluppatesi non possono che stimolare il Rad Meter: la sottoposizione a volumi eccessivi di radioattività provoca un calo vistoso delle nostre skill, con conseguente indebolimento strutturale che può condurre persino alla morte.
    Ellissi forzata. Giunti sul tetto della stazione radio, troviamo ad attenderci la nostra prima scelta importante. Un oscuro figuro ci propone di radere al suolo un'intera cittadina, posta a qualche chilometro da dove siamo ora, in cambio di soldi. Tra quelle rovine, potrebbero vivere diversi gruppi di sopravvissuti, tutti con le loro storie, con le loro proposte. O magari è solo un insediamento di Ghoul o di Super Mutants, da schiacciare senza pietà. Essendo Fallout 3 un free roaming RPG, potremmo scendere ed andare a controllare. Ma a quel punto perderemmo l'occasione di disintegrare un potenziale nemico da lontano: il tizio misterioso non ci aspetterebbe.
    Voi cosa fareste?
    Noi, per esempio, apprezziamo molto i finali col "botto"...


    La seconda porzione di gameplay ci ha mostrato alcune raffinate particolarità di Fallout 3.
    L'uscita dal Vault 101 è sinceramente emozionante. Diciannove anni di vita, e mai vista la luce del sole. Calda, abbagliante, un qualcosa che ti riempie. L'idea del team di sviluppo, giocando con l'HDR e la distorsione dell'immagine, è proprio questa: veicolare l'idea della scoperta, accecando lo spaesato giocatore.
    I cartelli di disprezzo di chi è rimasto fuori dal Vault, però, spezzano subito le ali della gioia, facendo precipitare il nostro entusiasmo. Washington e le zone limitrofe pullulano di pericoli che talvolta possono assumere le sembianze di scarafaggi giganti, tal'altra quelle non meno raccapriccianti dei predatori, degli schiavisti, dei ladri. Piccoli insediamenti umani sono ormai rinvenibili ovunque. Baraccopoli perlopiù indifese: solo alcune possiedono dei sistemi di protezione automatizzati, e Megaton è una di queste.
    Per arrivarvi, passiamo dalla metropolitana. Prima di scendere, diamo un'occhiata tra i bidoni della spazzatura, non trascurando le cassette delle lettere: potremmo trovare Med kit, ma anche droghe, potenziamenti chimici, alcol. Elementi che modificano la composizione delle nostre statistiche, magari portando dei benefici temporanei, ma che se assunti sistematicamente possono portare ad una dipendenza piuttosto sgradevole.
    Il sottosuolo è ormai ghettizzato dai Super Mutants, ma perlomeno qui apprendiamo come scassinare porte (tramite l'accoppiata cacciavite-grimaldello, controllabili coi due stick) ed hackerare i vari dispositivi elettronici (scovando la password tramite enigmi logico-linguistici, ad esempio) per accedere ad informazioni riservate od usufruire di servizi davvero interessanti. La difficoltà di tali compiti è direttamente proporzionale alle nostre abilità ed ai perks posseduti, ma le chicche non mancano davvero. Un indicatore, funzionalmente simile a quello dei primi Splinter Cell, evidenzia il nostro grado di visibilità. Agevolati dal buio, sgattaioliamo nello stanzino della sicurezza, eludendo la guardia di due mutanti. Qui liberiamo un robot-bigliettaio, un ammasso di latta proveniente direttamente dall'immaginario tecnologico di mezzo secolo fa. Assistere al siparietto del robot che chiede ai due mostri se sono muniti della carta di circolazione è di per sé esilarante, ancor più se alla reazione stizzita dei due l'essere risponde disintegrandoli.
    A nostre spese, inoltre, abbiamo appurato il graduale processo di usura delle armi, che divengono via via meno perforanti. Per riparare tali oggetti, oltre alla skill repair, è necessario essere provvisti di uno strumento similare, da cui poter attingere i necessari pezzi di ricambio.
    Giunti a Megaton, nel cui nucleo spicca una bomba inesplosa, tentiamo di affinare come possiamo l'arte oratoria. I dialoghi, strutturati ad albero, sono fortemente influenzati dalla personalità e dalle vicende emotive delle persone con cui ci interfacciamo. La loro esistenza scorre seguendo itinerari prefissati, ma nutrono nei nostri confronti sentimenti diversi e sempre pronti al cambiamento, qualora non ripagassimo la loro fiducia, adottando magari comportamenti sconvenienti.
    Più che in Oblivion, ogni NPC ha semplicemente qualcosa di importante da dire: password, missioni, luoghi. L'esito positivo di una conversazione è influenzato da diverse componenti: dal nostro carisma, dall'abilità nel dialogo o nella vendita. Anche nelle linee di testo, talvolta, trova posto un numero in percentuale, che sta a simboleggiare, come ormai dovrebbe essere ovvio, la probabilità di riuscire a convincere o di far desistere qualcuno dai propri propositi.
    Nel bar della baraccopoli, incontriamo nuovamente il tizio fissato con le bombe nucleari. Megaton deve scomparire. Cerchiamo di temporeggiare tentando di carpire le motivazioni che lo guidano. Questa volta niente fuochi d'artificio, quantomeno non per mano nostra. Nonostante ci abbia solo insultato, lo sceriffo pare un tipo a posto. Potrebbe anche aiutarci a ritrovare nostro padre. Il problema ora è convincerlo.
    L'estensione di Fallout 3 più che in termini di chilometri percorribili, andrebbe valutata per la densità dell'offerta che propone. La mappa è sì più contenuta di quella di Oblivion, restando comunque semplicemente enorme, ma le varietà situazionali, il numero di NPC interessanti così come la quantità di sotto missioni paiono davvero eccellenti.
    La latitanza di mezzi di trasporto utilizzabili, unita all'estirpazione degli spostamenti istantanei (validi solamente per i posti già visitati), amplifica notevolmente l'immersione complessiva.
    Nel corso dell'avventura, oltre al fido Dogmeat (ufficializzato in primavera) a cui è possibile impartire ordini basilari di attacco e recupero di item nell'area circostante, si avvicenderanno -potenzialmente- diverse figure di supporto (una per volta) per periodi di tempo limitati, magari attratte dal nostro carisma o affascinate dal nostro comportamento. Non si potrà formare una squadra, dunque, ma la compagnia non mancherà di certo.

    Considerazioni Tecniche

    Più che di cosmesi, per Fallout 3 si dovrebbe parlare di direzione artistica. Sfarzose le architetture, i cui intarsi art déco non possono che rimandare alla mente gli incanti della Rapture di Bioshock.
    Uno stile comunque composito che mischia l'eleganza al disfacimento, il lusso ormai svuotato degl'antichi splendori alla tecnologia pomposa, ovviamente nucleare e non votata alla miniaturizzazione degli anni '50.
    Washington, già adesso, è uno spettacolo per gli occhi. Il motore di Oblivion gestisce senza problemi (30fps costanti) un gran quantitativo di poligoni, effetti particellari e sorgenti luminose artefatte ma estremamente d'atmosfera. L'orizzonte visivo pare non trovare fine ed i particolari si sprecano. Le animazioni, di converso, paiono ancora legnose e senza dubbio migliorabili, al pari di alcune texture, soprattutto quelle che ricoprono la modellazione dei visi.
    Buona la visuale in terza persona, che distacca notevolmente l'impacciata proposta di Oblivion, soprattutto in chiave di posizionamento dell'avatar.
    L'engine fisico, come da prassi, non consente un approccio distruttivo all'ambiente di gioco. Le macchine in generale e le automobili esplodono se subiscono dei colpi d'arma da fuoco, mentre l'interazione con gli oggetti (soprattutto i più piccoli) pare competente, ma nulla che superi le aspettative.
    Sospendiamo il giudizio -comunque entusiastico- in attesa della nuova build che verrà presentata in quel di Lipsia, fra poco più d'un mese.

    Fallout 3 Fallout 3 diventerà, molto probabilmente, il gioco dell’anno. I suoi ingranaggi paiono così ben oliati da riuscire ad attirare tanto gli amanti degli RPG quanto i devoti degli FPS. Un Free Roaming RPG sotteso da un’ossatura narrativa altamente evocativa, in grado di stuzzicare con le sue diverse diramazioni per ore ed ore. E poi l’editor, il tutorial all’interno del Vault 101 (dalla nascita ai diciannove anni, passando per le tappe evolutive più significative), l’incidenza reale delle scelte...e i contenuti aggiuntivi via Live (360 e PC)! Bethesda, Bethesda never changes. Fortunatamente per noi.

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